Vivere ai tempi del Corona virus

Eccoci qua. Chi l’avrebbe detto, eh? Tutti insieme, appassionatamente, ognuno a casa sua, soli ma uniti dalla stessa sorte: la quarantena. Prodotta da una pandemia come quelle passate. Drammatica per alcuni, noiosa per altri e accettabile per pochi, è pur sempre una condizione innaturale per noi “animali sociali”, come ci descriveva l’antropologo Desmond Morris.

E siccome – secondo uno studio pubblicato su Science dalla Scuola di salute pubblica T. H. Chan dell’Università di Harvard – la quarantena durerà, a singhiozzo, fino al 2022, dovremmo osservare per ugual periodo anche le relative misure di distanziamento sociale.
Senza farmaci specifici e vaccini, con l’allentamento delle restrizioni il Covid-19 tornerà periodicamente fino al 2025, pare: tutte le simulazioni, frutto di un modello matematico, mostrano che il contagio rischia di riprendere non appena vengono allentate le restrizioni.

Il cambiamento spaventa, ma è temporaneo. O no? Ognuno di noi, in queste lunghe giornate casalinghe, adotta personali strategie per sfuggire all’eccesso di bombardamento mediatico sulla pandemia: musica, narrativa, vecchi film, lettura dei classici (ma anche qui, da Tucidide a Virgilio, da Boccaccio a Manzoni, non è difficile imbattersi nelle epidemie), e fortunato chi non ha la tv.

E poi: “nulla più sarà come prima” o piuttosto c’è il rischio che – usciti dall’emergenza sanitaria – si ricominci con le stesse discriminazioni e disuguaglianze (di dignità, di potere, di conoscenza, di ricchezza, di reddito, etc.) di prima? Per molti, c’è un faro rappresentato dall’art. 3, secondo comma, della Costituzione italiana: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»

Trasformare un sistema sanitario pubblico degno di questo nome in un’industria medica sempre più privatizzata si rivela un problema grave. Ciò non impedisce a «eroi» e «santi» di continuare e lavorare nella sanità pubblica, come vediamo in questi giorni. Prevenire eventi come una pandemia non rende, a breve termine. Ecco perchè non ci siamo premuniti né di mascherine né di test da eseguire massicciamente. Abbiamo ridotto la nostra capacità ospedaliera in nome dell’ideologia dello smantellamento del servizio pubblico, che ora si mostra per quella che è: un’ideologia letale.

Non avendo mai aderito a tale ideologia, e forti dell’esperienza dell’epidemia di Sars del 2002, Paesi come la Corea del Sud e Taiwan hanno predisposto un sistema di prevenzione estremamente efficace: lo screening sistematico e il tracciamento, puntando alla quarantena e all’ informazione della popolazione adeguatamente istruita, munendola di mascherine. Risultato: nessun confinamento, e danno economico trascurabile. Noi occidentali abbiamo adottato una strategia antica, quella dell’isolamento.

Il parziale isolamento dell’Europa ha ravvivato l’idea che il capitalismo è sicuramente un sistema molto fragile, e così lo Stato sociale è tornato in auge. In realtà, il difetto nel nostro sistema economico ora rivelato dalla pandemia è palese. Se una persona malata è in grado di infettarne molte altre in pochi giorni e se l’agente patogeno ha un’alta mortalità – come nel caso di Covid-19 – nessun sistema economico può sopravvivere senza una sanità pubblica poderosa. I lavoratori, anche quelli più in basso nella scala sociale, prima o poi infetteranno i loro vicini, i loro capi, e gli stessi ministri alla fine contrarranno il virus.

Il riscaldamento globale promette la moltiplicazione delle pandemie tropicali, come affermano la Banca Mondiale e l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) da anni. E ci saranno altri coronavirus. Senza un efficiente servizio sanitario pubblico, che consenta di selezionare e curare tutti, non esiste più alcun sistema produttivo praticabile durante un’epidemia da coronavirus. E questo per decenni.

Occorrerebbe applicare, questa volta, la strategia adottata in Corea del Sud e a Taiwan con il massimo rigore. Il tempo che stiamo guadagnando chiudendoci in casa dovrebbe servire per:
• riportare R0 (che probabilmente era circa 3 all’inizio del contagio) il più vicino possibile a 1;
• incoraggiare la riconversione di alcuni settori economici, per produrre in serie i ventilatori polmonari di cui ora hanno bisogno le terapie intensive per salvare vite umane;
• consentire ai laboratori occidentali di produrre subito apparecchiature e materiali di screening, mentre si organizzano per realizzare in poche settimane il sistema necessario. Al momento ci sono due enzimi, in particolare, le cui scorte sono molto insufficienti, e quindi limitano la nostra capacità di effettuare screening;
• produrre le mascherine di protezione, essenziali per frenare la diffusione del virus quando usciamo di casa.

Se porremo fine al nostro confinamento collettivo quando i nostri mezzi di rilevazione non saranno pronti o mancheranno le mascherine, correremo nuovamente il rischio di una tragedia. La pandemia ci sta costringendo a capire che non esiste un capitalismo davvero praticabile senza un forte sistema di servizi pubblici. La deforestazione – così come i mercati della fauna selvatica di Wuhan – ci mette in contatto con animali i cui virus non ci sono noti. Lo stesso allevamento intensivo facilita la diffusione di epidemie.

Infine, la pandemia ci invita a trasformare radicalmente le nostre relazioni sociali. Noi mammiferi non siamo monadi isolate, collegate solo da un astratto sistema di prezzi, ma esseri di carne interdipendenti con gli altri e con il territorio. Ora la domanda è: può esserci un aspetto positivo in questa crisi? Almeno una decina:
• Mette tutti quanti di fronte all’ascolto di sé.
• Ci libera dal narcisismo consumistico, dal «voglio tutto e subito».
• Ci riporta all’essenziale, a ciò che conta davvero: l’intimità emotiva, la vicinanza, la qualità delle relazioni umane. E la solidarietà.
• Ci ricorda anche quanto sia importante la natura per la nostra salute mentale e fisica: coloro che vivono rinchiusi in 15 metri quadrati a Parigi o a Milano lo sanno bene.
• Il razionamento imposto su alcuni prodotti ci ricorda la limitatezza delle risorse. può essere un’occasione di risparmio.
• E’ un’opportunità per indirizzare le nostre vite e le nostre istituzioni verso una felice sobrietà e verso il rispetto per la finitudine del nostro mondo.
• Ci libera da campionati di calcio, delinquenza comune, stragi del sabato sera e folle chiassose di turisti e pellegrini.
• Insegna a tossire coprendosi la bocca, a mantenere le distanze e a rispettare le file a chi non conosce le buone maniere.
• Ci spiega come sia importante mantenersi in buona salute, in particolar modo l’apparato immunitario
• Ricorda come sia doveroso proteggere i propri cari più deboli

Il momento è decisivo: si può temere quella che Naomi Klein ha definito la «strategia dello shock». Alcuni governi non devono, con il pretesto di sostenere le imprese, indebolire ulteriormente i diritti dei lavoratori; o, per rafforzare ulteriormente la sorveglianza della polizia sulle popolazioni, ridurre permanentemente le libertà personali.

Solo lo Stato, perciò, può creare nuovi posti di lavoro capaci di assorbire la massa di dipendenti che, quando usciranno finalmente di casa, scopriranno di aver perso il posto. È quindi indispensabile che gli Stati occidentali, oggi come ieri, utilizzino una spesa in deficit per finanziare lo sforzo di ricostruzione del sistema produttivo che sarà necessario alla fine di questo lungo travaglio; e lo dovranno fare in modo acuto e selettivo, favorendo questo o quel settore.

Ovviamente, il loro debito pubblico aumenterà. Ricordiamo che, durante la Seconda guerra mondiale, il deficit pubblico degli Stati Uniti raggiunse il 20% del Pil per diversi anni consecutivi. Ma il deficit sarebbe molto più grande in assenza di ingenti spese da parte dello Stato per salvare l’economia.

Possiamo anche notare che il piano di aggiustamento strutturale imposto alla Grecia alcuni anni fa è stato pressochè inutile: il rapporto debito pubblico/Pil di Atene ha raggiunto nel 2019 gli stessi livelli del 2010.

In altre parole, l’austerità uccide – lo vediamo bene coi nostri occhi in questo momento, nei nostri reparti di rianimazione –, ma non risolve alcun problema macroeconomico. Abbiamo bisogno di una reindustrializzazione verde, accompagnata da una relocalizzazione di tutte le nostre attività umane.

Ma, per il momento, e per accelerare la fine della crisi sanitaria, è necessario proseguire negli sforzi per schermare e proteggere la popolazione. Milioni di persone non avrebbero mai temuto di perdere il loro impiego così repentinamente. Medici e paramedici non avrebbero mai pensato di morire sul lavoro. Parenti e amici non avrebbero mai creduto di non poter dare l’ultimo saluto ai propri cari. Nel 2020.