“Rai per il Sociale” parte dall’hinterland capitolino

Presentato il Rapporto dell’Osservatorio di Pavia “Illuminare le periferie. I non luoghi dell’informazione. Periferie geografiche e umane nei media”. La crisi economica è stato il tema predominante nei Tg italiani nel 2020, secondo quello delle politiche contro la povertà, è quanto emerge dalla ricerca. La sede scelta è stata quella periferica della Comunità di S.Egidio, a Tor Bella Monaca a Roma. Organizzata insieme a Rai per il Sociale e con la Tgr come media partner, l’iniziativa è promossa da Cospe, UsigRai, Fnsi, Aics e L’impresa Sociale Con I Bambini.

Una splendida, calda giornata di sole saluta l’iniziativa sotto i migliori auspici. Anna Meli, direttrice comunicazione Cospe, conduce l’incontro. In platea anche giovani, residenti e ospiti del centro, tutti a debita distanza per ovvi motivi. Come vuole il servizio pubblico, “non si deve lasciare indietro nessuno”: la tv di Stato accende i riflettori su una zona non facile della Capitale, facendone vedere anche aspetti inediti.

La Comunità di S. Egidio – molto attiva per combattere a più livelli l’ emarginazione sociale – qui integra disabili mentali coinvolgendoli in laboratori artistici ed esperienziali e – grazie alla presenza più che decennale sul territorio – dà loro un ruolo sociale per incidere positivamente nel quartiere.

Siamo nel ferro di cavallo di palazzi grigi a Tor Bella Monaca, dove non entra neanche la polizia per lo stretto controllo incrociato da parte delle ‘vedette’ della droga. Piazzale oggetto di molti servizi giornalistici di cronaca nera, e teatro di regolamenti di conti fra bande criminali.  

Eppure, paradossalmente, qui nasce una linfa creativa, qui ha sede un centro di enorme vitalità culturale, qui tutti vogliono venire a curiosare, fiore all’occhiello e vanto dei giovani cresciuti a “Torbella” (in slang). All’orizzonte, ampi prati verdi. Francesco, un adolescente nato e cresciuto qui, ci racconta quanto sia legato al suo quartiere:

Massimiliano, responsabile dei laboratori espressivi del museo-laboratorio, ci spiega come i disabili trovino nel centro un punto di riferimento che li accoglie, dà loro identità e li fa essere se’ stessi liberamente. Colpisce l’opera “corridoi umanitari di un ospite: dal profondo blu diventa sempre più chiaro fino ad un lembo di terra marrone. 

 

Nel museo, il ritratto all’Andy Warhol di Filomena parla di una trasteverina “cacciata” dalla sua zona d’origine: viveva vicino alla Chiesa di S. Egidio. Con i lunghi capelli raccolti in un foulard, abitava in un “basso” angusto; era un po’ svagata, ma gentile e molto socievole. Un giorno fu notata la sua assenza in strada, e si seppe che alcuni parenti l’avevano ricoverata in un “cronicario”.

Dopo qualche tempo, pare che Filomena non parlasse più, che piangesse soltanto: le avevano tagliato i capelli di cui andava così orgogliosa… Si è lasciata morire senza che la si riuscisse a riportare a casa sua. Ma sentiamo Maria Carosio, direttrice del museo-laboratorio d’arte dagli splendidi splendidi occhi verdi, che esprime con trasporto tutta la passione per il suo lavoro in periferia:

“Libertà” è un concetto che ricorre nelle opere realizzate dagli ospiti del centro diurno: c’è un’installazione di bancali accatastati a forma di gabbia fatto da un ospite recluso per anni nell’ex manicomio romano S. Maria della Pietà.

Cè un quadro fatto dai resti delle candeline che si accendono in memoria dell’olocausto. Più avanti, c’è un trittico di palline bianche su sfondo bianco che rappresenta l’invisibilità a cui sono costretti i minori abbandonati, con qualcuna – ma poche – colorate.

C’è l’angolo biblioteca della “libreria di Elisa”, una bambina disabile morta prematuramente. La sua famiglia ha donato libri d’arte affinchè altri ospiti possano leggere. Attorno al centro si respira un’aria pulita, di gente sorridente che rispetta il posto in cui vive. Perciò attira anche chi disabile non è, ma vuole dare una mano o semplicemente “assorbirne” un po’ l’atmosfera.

L’abitante dell’estrema periferia – come il disabile mentale – talvolta si sente addirittura rinnegato dalla dignità di essere considerato “persona” come tutti gli altri: sbarre che lo dividono dal resto della città. Sbarre mentali e fisiche dalle quali si vorrebbe uscire. E talvolta ci si riesce, come ci spiega Daniele, un giovane frequentatore del centro culturale:

Distanziamento sociale non deve voler dire prendere le distanze dai problemi sociali: le ragioni sanitarie – opportune per la fase pandemica che stiamo attraversando – non vanno fraintese strumentalmente con un disinteresse per le condizioni sociali più disagiate. E la stampa non sempre ha osservato questa regola, soprattutto di questi tempi, come rileva la Comunità di S. Egidio:

Al contrario, “diminuire” le distanze è l’obiettivo di Rai per il Sociale, dando voce a chi non ce l’ha, ed offrendo esempi di informazione non stereotipata, rappresentando più aspetti delle realtà abbattendo le disuguaglianze.

Non un mondo per pochi, quindi, ma una comunità condivisa, dove c’è spazio per chiunque voglia contribuire a farla crescere. Concludiamo con le parole di Giovanni Parapini, direttore di Rai per il Sociale: “Il Servizio Pubblico ha il diritto-dovere di essere plurale e inclusivo, tornando alle sue origini più nobili: quelle di servire, offrendo contenuti, informazione, cultura, educazione, sport e intrattenimento, e illuminare luoghi come Tor Bella Monaca a tutto il pubblico italiano”.